Smart working: dal coronavirus la dimostrazione del suo potenziale (e dei suoi limiti)

L’attuale emergenza della diffusione nel nostro Paese del nuovo coronavirus ha temporaneamente paralizzato il Nord Italia. Alcuni tra i più importanti poli produttivi della penisola, concentrati nell’area di Milano, sono stati costretti a chiudere i battenti fino a data da destinarsi, come effetto delle misure precauzionali contro la diffusione del contagio che sono state emanate in via eccezionale nei giorni scorsi.

Moltissime aziende, in risposta ai provvedimenti presi dai comuni più colpiti, si sono viste costrette a tenere a casa i propri dipendenti. Organizzazioni al di fuori delle zone rosse, per evitare i viaggi di andata e ritorno dagli uffici, hanno permesso al maggior numero possibile di lavoratori di darsi momentaneamente allo smart working. Il nuovo dl 23 febbraio 2020 n. 6 (misure urgenti sul coronavirus) pubblicato ieri in Gazzetta Ufficiale ha permesso di avviare il telelavoro con effetto immediato, senza necessità di precedenti accordi.

La situazione di crisi che ha costretto le aziende a prendere in considerazione il lavoro da remoto, quando possibile, ha fatto emergere una realtà che è troppo spesso ignorata. Moltissime organizzazioni, che finora non avevano mai sfruttato le potenzialità dello smartworking, sono oggi letteralmente salvate da questa possibilità. Tantissime attività, che non possono essere svolte online, conteranno purtroppo perdite che in altri casi sono quasi del tutto evitabili.

I vantaggi dello smart working

In questi giorni i vantaggi dello smart working sono sotto gli occhi di tutti: senza essere costretti a fare i pendolari e a frequentare luoghi affollati, i dipendenti sono quasi totalmente messi a riparo dal contagio da coronavirus, pur continuando a svolgere agevolmente le proprie attività lavorative. Il dibattito sul lavoro da remoto era tornato attuale in occasione del crollo del ponte Morandi, che aveva temporaneamente interrotto le principali vie di comunicazione della Liguria. Già allora ci si è chiesti se lavorare da casa potesse essere una soluzione da non limitare alle situazioni di emergenza.

Il telelavoro, indubbiamente, necessita non solo di una regolamentazione legale, ma anche di un cambiamento culturale e di un ripensamento delle logiche organizzative. Non ci si può improvvisare smart workers, insomma. Ma quando il modello funziona, i benefici non tardano ad arrivare. Oltre a riconfigurare i rapporti di responsabilità e leadership, lo smart working costringe l’azienda ad un aggiornamento continuo delle tecnologie e delle dinamiche di lavoro. Dimezza inoltre i tempi morti e rende la giornata lavorativa più breve ma potenzialmente più produttiva.

I limiti

Inutile dire che non tutte le attività possono pensare di passare allo smart working, seppur temporaneamente. Tutti i servizi che non viaggiano online sono momentaneamente bloccati e registreranno inevitabili perdite economiche. Molte organizzazioni che invece hanno la possibilità di sperimentare il lavoro da remoto si trovano ad affrontare difficoltà di vario genere.

Prima fra tutte, la tecnologia. Soprattutto nella gestione di dati personali e aziendali, le organizzazioni devono necessariamente dotarsi di strumenti e software adatti, cosa che potrebbe non avvenire in questi casi di emergenza e senza una precisa progettualità.

La responsabilità individuale e l’isolamento dai colleghi di lavoro possono inoltre rappresentare un vantaggio e al tempo stesso un limite per i livelli di produttività dei dipendenti. In questo possono intervenire le politiche aziendali e i percorsi di formazione messi in campo dalle organizzazioni.

Tu cosa ne pensi? Vivi in zone colpite dal virus e se sì, come stai affrontando la situazione? Raccontaci delle ripercussioni dell’emergenza sulla tua vita e sul tuo lavoro, ora più che mai la tua opinione ci sta a cuore.


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