L’ultimo Festival di Sanremo, con buona pace di Diodato che ha trionfato nella gara canora, è stato il festival di Achille Lauro. Fregandosene, come recitava il testo della sua canzone, il cantante romano ha messo in scena delle performance chiacchieratissime. Al netto della tutina glitterata, del costume da Marchesa Casati Stampa e delle perle in stile Tudor, ciò che è sopravvissuto è il dibattito sulla sessualità controversa che trasudava dal personaggio. C’è chi lo ha paragonato a Renato Zero, chi a David Bowie al quale è stata dedicata una performance nella serata delle cover. Fatto sta che l’ex trapper ha cavalcato un’onda che in questi anni si infrange sugli stereotipi di genere, stravolgendoli e cercando di superarli.
Nel suo libro Io sono Amleto è lo stesso Lauro a spiegare la motivazione profonda alla base della sua fluidità di genere.
"Cinquantenni disgustosi, maschi omofobi. Ho avuto a che fare per anni con ‘sta gente volgare per via dei miei giri. Sono cresciuto con ‘sto schifo. Anche gli ambienti trap mi suscitano un certo disagio: l’aria densa di finto testosterone, il linguaggio tribale costruito, anaffettivo nei confronti del femminile e in generale l’immagine di donna oggetto con cui sono cresciuto. Sono allergico ai modi maschili, ignoranti con cui sono cresciuto. Allora indossare capi di abbigliamento femminili, oltre che il trucco, la confusione di generi è il mio modo di dissentire e ribadire il mio anarchismo, di rifiutare le convenzioni da cui poi si genera discriminazione e violenza. Sono fatto così mi metto quel che voglio e mi piace: la pelliccia, la pochette, gli occhiali glitterati sono da femmina? Allora sono una femmina. Tutto qui? Io voglio essere mortalmente contagiato dalla femminilità, che per me significa delicatezza, eleganza, candore. Ogni tanto qualcuno mi dice: ma che ti è successo? Io rispondo: “Sono diventato una signorina”.
Tra sostenitori e detrattori del giovane artista, il dibattito sugli stereotipi di genere e sul superamento delle convenzioni non smette di infiammare giornali e salotti televisivi. La mascolinità di cui parla Achille Lauro è figlia di un rifiuto della violenza sulle donne e delle disparità di genere. No, dunque, a ostentazioni testosteroniche e a sciocche e superate rivendicazioni di superiorità sulle donne. Altrettanto chiacchierato il bacio che il cantante e il chitarrista Boss Doms si sono scambiati durante una performance, spiazzando chi pensa che ci sia una netta distinzione tra eterosessuali ed omosessuali. Entrambi i musicisti, infatti, sono dichiaratamente eterosessuali ma in quest’occasione hanno impugnato la definizione di gender fluid, sentendosi in diritto di non identificarsi con una categoria prestabilita.
La cosiddetta fluidità di genere è la non identificazione con i tradizionali generi maschile e femminile. Lo psicoterapeuta e sessuologo Fabrizio Quattrini spiega: “Molti giovanissimi non sentono di uniformare la propria identità di genere col concetto binario socialmente considerato normale [...] I giovanissimi stanno a mio avviso sperimentando con fatica la libertà di essere se stessi a prescindere dagli schemi e stereotipi di genere rinforzati dalla società”. Il discorso, dunque, si discosta spesso da quello di disforia di genere, alla base di percorsi di transizione parziali o completi. Largo, invece, alla sperimentazione e alla mescolanza tra simboli che finora sono appartenuti esclusivamente all’uno o all’altro genere.
A chi prova ad identificare questa “nuova” condizione con l’omosessualità, la bisessualità o la pansessualità, i gender fluid rispondono che l’essere umano è troppo complesso per essere costretto ad una scelta tra due sole strade, spesso del tutto divergenti. Tanti gli aspetti della personalità e dell’identità, esteriore ma soprattutto interiore, che i gender fluid vogliono sentirsi liberi di esprimere senza perciò essere giudicati. Non disponiamo, al momento, di numeri che ci permettano di inquadrare il fenomeno, soprattutto in Italia. Ma ciò che sappiamo è che la città italiana in cui i giovani si sentono più liberi di esprimere se stessi è Milano. In questo articolo di Open, una ragazza di nome Marta confessa di vedere in Milano un luogo di libertà e che nel resto d’Italia c’è ancora molto da fare in tal senso. Un altro ragazzo, Marcello, afferma: “A Trani non mi posso mica mettere la pelliccia! Eppure un pezzo di tessuto è un pezzo di tessuto. Non ci sono tessuti da uomini e da donne”.
Da sempre portavoce dei fermenti culturali del proprio tempo, il mondo della moda non ha fatto attendere la sua risposta. I profumi sono stati i primi ad essere liberati dell’etichetta maschile/femminile, uno tra tutti Everyone di Calvin Klein. A chi storce il naso, stilisti e profumieri rispondono che distinguere i profumi tra maschili e femminili è assurdo quanto dividere i cibi per genere. Ciò che rende maschili e femminili le fragranze sono le pubblicità e le operazioni di marketing che vengono loro costruiti intorno.
Non mancano le collezioni di abbigliamento agender o gender fluid. Se i tentativi di lanciare la moda unisex dagli anni Settanta in poi sono stati accusati di banalità e poco coraggio, gli stilisti dei giorni nostri non hanno paura di osare. Burberry propone camicie di pizzo da indossare con la cravatta, Louis Vuitton sceglie la gonna per un suo testimonial, i tessuti e le strutture si mescolano e perdono la loro connotazione di genere.
Tu cosa ne pensi? Sostieni che sia necessaria una netta distinzione tra maschile e femminile o ritieni che ognuno sia libero di esprimere le proprie caratteristiche sia maschili che femminili senza per forza identificarsi in un genere escludendo l’altro? Dicci la tua opinione nei commenti.
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